by International Rugby Players
Continua la panoramica sui i programmi di sviluppo dei giocatori in tutto il mondo con Luke Cheyne, Head of Player Development and Well-being presso la Rugby Players Association in Inghilterra.
Luke Cheyne è entrato a far parte della RPA nel 2018 e, prima ancora, ha trascorso diversi anni lavorando nel calcio, in particolare con l’Everton Football Club e Head of Football presso Coerver Coaching.
Ora, nel suo ruolo di Head of Player Development and Well-being, Cheyne ci tiene a sottolineare l’importanza di preparare i giocatori alla vita dopo il rugby e che, nelle sue parole, essere un giocatore di rugby “è quello che fai, non quello che sei .”

“Mi interessano le persone, mi interessano gli esseri umani e il fatto che sia in uno sport che amo profondamente è semplicemente fantastico”, dice.
Cheyne ora supervisiona il programma “Gain Line” e lavora a fianco dei responsabili dello sviluppo dei giocatori che lavorano regolarmente con i giocatori.
“Gain Line” è il programma di sviluppo personale e benessere della RPA in Inghilterra, che supporta i giocatori in tutti gli aspetti della loro istruzione, sviluppo personale e li aiuta a comprendere meglio se stessi e i propri valori.
“Gran parte del programma consiste nel chiedere ai giocatori di rispondere a domande del tipo: chi sono io adesso e cosa significa per me mentre la mia vita va avanti?”, afferma Cheyne.
“Questo vale anche per un diciottenne appena uscito da scuola o appena uscito dall’università, così come un 35enne che si sta progressivamente allontanando dallo sport professionistico. Gran parte del supporto della Player Association consiste nell’aiutare i giocatori in quanto esseri umani a capire di più su chi sono“.
I PDM parlano spesso della perdita di identità e scopo che i giocatori provano quando finiscono di giocare. Questo è qualcosa su cui Cheyne si concentra e sottolinea l’importanza di capire di cosa ha bisogno l’essere umano.
“Per noi, si tratta di come possiamo davvero convincere questi ragazzi e ragazze a capire cosa è importante per loro. Cosa li fa divertire, di cosa sono appassionati e cosa pensano di fare nel lungo termine?”, chiede.
“Vogliamo che i nostri giocatori si considerino qualcosa di più di un semplice giocatore di rugby. Il rugby è quello che fanno e non quello che sono. Molti giocatori fanno fatica a digerire questo concetto perché si considerano professionisti: tutto ciò su cui è costruita la loro esistenza è essere un giocatore professionista.
Tuttavia, può essere difficile trasmettere quel messaggio, in particolare ai giovani giocatori che sono concentrati solo sull’entrare in squadra e allenarsi duro in campo.
“Comprendiamo che esiste un concetto attorno a quel tipo di mentalità d’élite: voler progredire e voler fare costantemente meglio. Ma vogliamo anche che ricordino che sono persone che hanno altre cose che non sono necessariamente direttamente correlate al rugby o, cosa più importante, non direttamente correlate al risultato di un sabato pomeriggio.
“Il rugby è quello che fai. È molto importante. E non vogliamo sminuire questo. Non vogliamo toglierglielo in alcun modo o forma. Vogliamo però aiutare i nostri giocatori ad esplorare maggiormente chi sono come persona, non solo come giocatori di rugby”.
È difficile motivare i giocatori a fare questo?
“Penso che puoi sempre trovare una scusa per non fare qualcosa e se stiamo parlando di giocatori di rugby professionisti che esplorano chi sono fuori dal campo o ottengono qualifiche, titoli di studio o opportunità di networking, ci sarà sempre un motivo per cui non si può fare qualcosa.
“Ma, in termini e dal punto di vista finanziario, è qualcosa che i giocatori guarderanno indietro alla loro carriera e il più delle volte diranno qualcosa del tipo ‘Probabilmente vorrei averlo fatto dieci anni fa’.
“Sta indossando la mia maglietta”
Una delle cose di cui i giocatori parlano spesso è il concetto di quella prima prtita che vanno a vedere dopo il ritiro e c’è qualcuno che indossa la loro maglia. Hai indossato il numero sette per il tuo Club o per il tuo Paese per così tanti anni e all’improvviso ora qualcun altro indossa lo indossa al posto tuo. Difficile da accettare per alcuni.
“Prepararsi alla vita dopo il rugby è sempre qualcosa che riguarda il futuro“, afferma Cheyne.
“I giocatori potrebbero pensare ‘non è qualcosa che devo fare ora perché posso affrontarlo domani, posso affrontarlo la prossima settimana. Oppure voglio concentrarmi sul mio rugby quest’anno perché tanto posso affrontare altri discorsi legati al post carriera la prossima stagione.’
“E poi quando ciò accade, che sia per infortunio, o per un Club che scende di categoria, o per mancanza di rinnovo contrattuale, o per limiti di età e poi dicono, ‘wow, questo è qualcosa che ho quasi dato per scontato per così tanto tempo.’
“Perché”, continua Cheyne, “quando le cose vanno bene come giocatore di rugby, tendi a non preoccuparti troppo di cosa potrebbe andare storto. Si tratta solo di godersi il fatto che le cose stiano andando bene. E dal punto di vista dell’RPA, vogliamo lasciare ai giocatori lo spazio per poterlo fare, ma anche tenere d’occhio il fatto che nulla è garantito in questo gioco“.
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